Una squadra di dieci rifugiati che raccoglie plastica dalle strade di Roma e la ricicla, realizzando tessuti e oggetti. È il progetto "Refugee Scart", attivo nella capitale dal 2011, patrocinato dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che mira a restituire dignità a queste persone che divengono inoltre attive nel contribuire al bene comune. Marta Facchini ne ha parlato con la co-fondatrice del progetto, Marichia Simicik Arese:
R. – "Refugee Scart"è un piccolo progetto. L’idea iniziale era quella di cercare di aiutare giovani ragazzi arrivati in Italia, dando loro un senso di dignità e uno scopo al loro viaggio. Per cui, ho immaginato la possibilità di aiutarli generando con loro un piccolo reddito: riciclando immondizia raccolta per le strade di Roma, scatole di plastica lasciate dai supermercati o dai negozi, e iniziando a fare degli oggetti di riciclo. Tutti i soldi che arrivano dalla vendita ritornano, nella loro totale interezza, ai rifugiati stessi.
D. – Possiamo dire che questa sia quasi una metafora di vita: trasformarsi per inventarsi di nuovo…
R. – Semplicemente, il progetto unisce due cose: la solidarietà e la cura per l’ambiente. La solidarietà, perché attraverso questo progetto i ragazzi in grande difficoltà riprovano un senso di appartenenza e ritrovano anche una nuova dignità, perché attraverso il loro lavoro stanno contribuendo al benessere e alla pulizia di Roma e quindi al benessere di tutti i suoi abitanti. Sono riusciti a riciclare, in cinque anni, più di 15 tonnellate di "plasticaccia"... Quindi, un enorme contributo alla città. E questo contributo li fa sentire fieri del loro lavoro, perché stanno pulendo la città. Gli oggetti che creiamo poi non hanno altro materiale, sono solamente fatti di immondizia, per cui tutto il reddito che viene generato ritorna a loro, non esistendo un costo dei materiali. I materiali sono pura immondizia che raccogliamo per le strade di Roma. Non solo contribuiscono al bene comune, aiutando la città di Roma ad essere più pulita, ma hanno anche deciso di donare una parte del loro reddito per aiutare altri più bisognosi di loro. Hanno donato un totale di 5 mila euro in tre anni al Poliambulatorio medico di Emergency a Castel Volturno, vicino a Caserta. Sono dieci ragazzi che, a poco a poco, sono usciti dai centri di accoglienza, sono riusciti a prendere in affitto i loro piccoli appartamenti, non vanno più alle mense, ma riescono a comprarsi il loro mangiare e sono entrati in un processo di integrazione che ridà loro dignità.
D. – Unite alcune delle più importanti sfide del nostro tempo: la migrazione, l’integrazione e la cura dell’ambiente…
R. – Penso che la combinazione di ecologia e solidarietà sia una combinazione unica e vincente. I rifugiati sono impegnati nel creare questi oggetti di artigianato e imparano meglio la lingua, imparano ad esprimere la loro creatività, imparano a lavorare con metodo e intanto generano reddito e contribuiscono alla pulizia della città. Marta Facchini, Radio Vaticana, Radiogiornale del 16 agosto 2016.